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Diabete: conta di più la predisposizione genetica o la prevenzione?

prevenzione diabete

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Segue trascrizione del video

Introduzione

  • Avere un familiare stretto con una diagnosi di diabete di tipo 2 è una mezza diagnosi anche per noi?
  • La predisposizione genetica è una condanna e lo stile di vita a quel punto inutile?
  • Genetica o stile di vita, cosa conta di più?

Se per la popolazione generale direi che nessuno di noi mette più in dubbio l’importanza di un attento stile di vita per la prevenzione del diabete, quando ci sono di mezzo familiarità e genetica tutto si fa più nebuloso e spesso ci viene da pensare che impegnarsi in sacrifici e rinunce sia inutile, uno spreco di risorse di fronte a un destino ormai segnato.

Prima di fare luce su questo specifico aspetto, permettimi di farti notare un altro punto importante: un corretto stile di vita, nel senso più generale del termine, è utile non solo per la prevenzione del diabete, ma per tutte le malattie del benessere, come quelle cardiovascolari (tra cui infarti e ictus), quelle fisiche come l’artrosi e perfino quelle neurologiche come le demenze.

Quindi, se ascolti me, il dubbio non dovremmo nemmeno porcelo perché se essere diabetici è un po’ sgradevole, essere diabetici e doloranti a causa dell’artrosi è peggio; e ovviamente quando si tocca il fondo si può sempre cominciare a scavare, perché non dobbiamo dimenticarci dei tumori e sì, lo stile di vita ci protegge anche da diversi tumori.

Detto questo, per amore di scienza proviamo comunque a dare una risposta alla domanda iniziale e oggi possiamo farlo con maggior cognizione di causa grazie a un nuovo studio appena pubblicato sul British Journal of Sport Medicine.

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Shutterstock/Nina Buday

Stile di vita o predisposizione genetica?

30 minuti al giorno di attività fisica di intensità moderata: più o meno è questo che viene suggerito dalle varie linee guida come obiettivo minimo per la popolazione generale, che corrispondono, di nuovo minuto più, minuto meno, ai 300 minuti alla settimana suggeriti dall’OMS.

Ma in presenza di una predisposizione genetica è sufficiente? E ancora più importante, ne vale davvero la pena?

Se lo sono chiesto anche un gruppo di ricercatori in collaborazione tra l’università di Sydney, Australia, e quella di San Diego, Stati Uniti, che hanno preso in considerazione i dati clinici di 60000 inglesi incrociati con la quantità di attività fisica praticata, valutata mediante accelerometro (un dispositivo in grado di misurare in modo obiettivo e sufficientemente preciso il tempo dedicato al movimento).

Te la faccio breve perché la conclusione dei ricercatori è chiara:

L’attività fisica, in particolare quella da moderata a vigorosa, dovrebbe essere promossa soprattutto nelle persone con un alto rischio genetico di diabete di tipo 2. Potrebbe non esserci né una soglia minima, né massima per i benefici derivanti.

Ci sono un paio di aspetti che meritano qualche considerazione in più e una chicca finale, ma innanzi tutto una domanda che probabilmente ti sei posta.

Cosa significa attività fisica da moderata a vigorosa?

1. Esempi di attività leggera sono:

  • Camminare lentamente
  • Lavorare al PC, cucinare, lavare i piatti
  • Suonare la maggior parte degli strumenti

2. Esempi di attività moderate sono:

  • Camminare molto velocemente
  • Lavori di casa più impegnativi, come lavare i vetri, passare l’aspirapolvere, …
  • Tagliare l’erba del prato
  • Pedalare senza sforzi eccessivi
  • Giocare un doppio a tennis

3. Esempi di attività intense invece comprendono quelle attività dove viene il fiatone, durante le quali magari riesci ancora a parlare, ma a fatica, come ad esempio

  • Escursionismo in montagna
  • Correre
  • Spalare la neve
  • Trasportare carichi pesanti
  • Pedalare in modo più impegnativo
  • E i vari calcio, basket, nonché il singolo a tennis.

Quindi le attività di cui parliamo in questo studio sono quelle da moderate a intense e, generalmente, più è intensa l’attività, più rapidi e maggiori sono i benefici, nel senso che a parità di risultato, ti tocca camminare un po’ di più rispetto a una corsa.

Ma ora passiamo agli aspetti interessanti.

Quanto si riduce il rischio?

In un’intervista agli autori si legge che i soggetti più attivi, ovvero coloro che dedicano più di un’ora al giorno al movimento, hanno il 74% in meno di probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2 a distanza di sette anni rispetto alle persone meno attive, quelle che si limitano a meno di cinque minuti al giorno, probabilmente la corsa per non per perdere il pulman che si conclude con un fiatone fino alla quinta fermata, oppure alle imprecazioni conseguenti alla rottura dell’ascensore (a parte gli scherzi, 5 minuti al giorno potrebbe indicare ad esempio mezzora alla settimana tutta insieme).

E questa riduzione rimane valida anche per i pazienti considerati ad alto rischio genetico, quelli che si stima avere di base 2,4 volte più probabilità di sviluppare la malattia a causa di un’antipatica eredità ricevuta dai genitori.

Ma l’aspetto più interessante, la chicca promessa, non è nemmeno questa, perché pensa che i partecipanti allo studio con un alto rischio genetico, ma capaci di mantenere un elevato livello di attività fisica, hanno mostrato un rischio complessivo addirittura inferiore a quello delle persone sedentarie pur prive rischio genetico.

Cosa conta di più, stile di vita o genetica? Stile di vita, senza dubbio stile di vita.

E quello che emerge dopo è la conferma di un messaggio che abbiamo già ripetuto più e più volte su questo sito: anche poca attività fisica è meglio di niente, ma non solo.

L’esercizio fisico fa bene. Più esercizio fisico fa meglio.

Se sei sedentaria, inizia, perché anche solo 5 minuti al giorno sono meglio di zero, e poi ogni giorno impegnati ad alzare sempre di più l’asticella, valutando con il medico cosa sia compatibile con il tuo fisico, ovviamente, ma non nasconderti dietro acciacchini e acciacconi perché i limiti sono quasi sempre mentali, praticamente mai veri ostacoli fisici insormontabili.

Meccanismo d’azione

E perché funziona così bene?

Fondamentalmente quando i muscoli lavorano a media-alta intensità, bruciano zucchero come  fonte di carburante, zucchero che viene estratto anche dal sangue contribuendo così a ridurre la glicemia e migliorare la sensibilità del tuo corpo all’insulina.

Si contrasta efficacemente, da un punto di vista biochimico, la tendenza a sviluppare insulino-resistenza, l’anticamera del diabete di tipo 2.

Evidenze recenti sembrano poi suggerire che potrebbero venire coinvolti anche ulteriori meccanismi, forse addirittura epigenetici: questa parola apparentemente complicata indica che se è vero che non possiamo decidere QUALI geni ricevere dai genitori, possiamo tuttavia intervenire direttamente negli stimoli che il nostro corpo usa per scegliere COME e QUANDO usarli.

Rischio di diabete

L’aspetto fondamentale quando si valutano questi studi, ma più in generale quando si parla di salute e malattia, è comprendere che l’oggetto del discorso è sempre la probabilità di sviluppare una certa condizione.

In medicina è molto raro osservare un rapporto diretto tra causa ed effetto, quasi sempre questo viene in qualche modo mediato da diversi fattori, che tipicamente sono genetici e ambientali.

Nessuno mette in dubbio che il fumo causi il tumore al polmone, eppure ci sono fumatori che non lo svilupperanno mai. Allo stesso tempo ci sono pazienti che non hanno mai toccato una sigaretta e che nonostante tutto moriranno di questa patologia. Il fumo sposta la probabilità di svilupparlo.

Parlando di diabete è lo stesso, un po’ come se mettessimo su un piatto della bilancia i fattori protettivi e nell’altro quelli di rischio: magari da una parte ci mettiamo l’attività fisica regolare che pratichi tutti i giorni e un’alimentazione sana, dall’altra ci metti la predisposizione genetica e quei dannati 10 kg in più che proprio non se ne vogliono andare. Poi una spruzzata di sfiga o di fortuna a seconda dei casi, che tiene conto di tutti quei fattori che non conosciamo o che magari non sono sotto il nostro diretto controllo, ed ecco che svilupperai o meno la malattia.

Ma ricorda, è sempre questione di probabilità, di variazione del rischio, non è praticamente mai un effetto tutto o nulla.

Detto questo non dimentichiamo che un soggetto sfortunato che, nonostante l’attività fisica regolare sviluppi comunque diabete, riuscirà ad avere un controllo migliore della malattia, un ridotto bisogno di farmaci e, di nuovo, un ridotto rischio di complicazioni, per non parlare degli effetti sugli altri parametri cardiometabolici come colesterolo, trigliceridi, pressione alta, … come dicevamo all’inizio, no?

E se fossi già diabetica?

Se invece stessi leggendo questo articolo troppo tardi, sarebbe inutile parlare di prevenzione con una diagnosi di diabete già formulata beh… non sarebbe affatto troppo tardi, quantomeno non completamente e per almeno due ragioni:

  1. L’attività fisica, nell’articolo di oggi stiamo parlando di questo, sarebbe comunque determinante per un miglior controllo della malattia, miglior controllo che come abbiamo accennato prima significa minori complicazioni ma anche, ad esempio, meno farmaci e dosaggi più bassi.
  2. Ma soprattutto ricordati che oggi il diabete di tipo 2 è considerata una malattia che si può quasi sempre prevenire, spesso curare, a volte anche guarire.

Conclusione

E quindi, credimi, per la prevenzione del diabete

  • Non è mai troppo tardi e non è mai troppo presto per migliorare il tuo stile di vita. Il momento migliore per iniziare era alla nascita, ma il secondo momento migliore è oggi, anche se stessi già convivendo con una diagnosi di tumore.
  • Ogni cambiamento va bene, anche se introdotto un po’ per volta. Un cambiamento piccolo è meglio di nessun cambiamento, ovvero nessun cambiamento è troppo piccolo.
  • I miglioramenti sono cumulativi: una nuova buona abitudine è bene, due nuove buone abitudini sono meglio e il loro effetto sommato è probabilmente maggiore dei singoli apporti.

Fonte

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