[ad_1]
Forse non ve ne rendete conto, ma avete un rapporto stretto con loro. Queste sostanze chimiche prodotte sono nel vostro sangue, nei vostri vestiti e nei vostri cosmetici. Sono state rilevate nell’aria, nell’acqua, nel suolo, nei sedimenti e nella pioggia a livelli che in alcuni paesi sarebbero considerati pericolosi nell’acqua potabile.
Le principali fonti d’esposizione sono l’acqua potabile e alimenti come il pesce, le uova, il latte o animali che pascolano in terreni contaminati
Pfas sta per sostanze per- e polifluoroalchiliche, è un termine generico che si riferisce a una famiglia di migliaia di sostanze chimiche – circa dodicimila secondo l’ultimo conteggio – apprezzate per la loro indistruttibilità e antiaderenza. Sono usate in una vasta gamma di prodotti, tra cui vestiti impermeabili, mobili, pentole, dispositivi elettronici, imballaggi alimentari e schiume antincendio, e impiegate in un gran numero di processi industriali.
I Pfas sono così ben progettati e robusti che non si dissolveranno nell’ambiente prima di decine di migliaia di anni, motivo per cui si sono guadagnati il soprannome di “sostanze chimiche eterne”. Questo significa che la loro presenza nell’ambiente è in continuo aumento, tanto che un gruppo di scienziati ha concluso che la diffusione globale di sole quattro di queste sostanze nell’atmosfera ha portato al “superamento del limite planetario per l’inquinamento chimico, aumentando i rischi per la stabilità del sistema Terra”.
La capacità di repellere l’acqua e i grassi consentono ai Pfas di essere molto mobili, il che significa che possono riemergere da vecchie discariche e migrare nell’ambiente. Questa è una cattiva notizia perché molti Pfas tendono anche a bioaccumularsi, cioè vengono assorbiti dagli organismi più velocemente di quanto possano essere smaltiti e si accumulano nel tempo. La concentrazione di Pfas aumenta man mano che si sale la catena alimentare, quindi i grandi predatori come le orche ne assumono grosse quantità a ogni pasto.
Cosa sono i Pfos e i Pfoa?
Sappiamo poco della maggior parte dei Pfas perché solo pochi sono stati sottoposti a test approfonditi. Ma due sostanze molto diffuse – l’acido perfluoroottansolfonico (Pfos) e l’acido perfluoroottanoico (Pfoa) – sono state esaminate in seguito ad alcuni gravi casi d’inquinamento negli Stati Uniti, in Australia e in Europa, legati a fabbriche di prodotti chimici e alla contaminazione da schiume antincendio. Entrambe sono state vietate o limitate da varie leggi europee e internazionali, ma essendo eterne non sono scomparse.
Sono dannosi per la salute?
Lo suggerisce la sigla delle proprietà di alcuni Pfas, che è pbt: persistenti, bioaccumulabili e tossici. Finora la tossicità è stata provata solo per i Pfos e i Pfoa, ma il primo si è anche guadagnato una lettera aggiuntiva, la u di ubiquo, un indizio di quanto sia diffuso.
Fu la DuPont a introdurre i Pfas nel mondo nel 1940 con il teflon, e fu la stessa azienda a rivelare quanto potessero essere dannosi. Dalla sua fabbrica di Parkersburg, negli Stati Uniti, ha emesso Pfas nell’aria e nel fiume Ohio dal 1950 ai primi anni 2000, contaminando le fonti di acqua potabile. Per questo la DuPont ha dovuto versare 670 milioni di dollari di risarcimenti a 3.500 vittime.
Uno studio statunitense condotto tra il 2005 e il 2013 su campioni di sangue di circa 69mila persone residenti vicino allo stabilimento della DuPont ha concluso che esiste un “probabile collegamento” tra l’esposizione al Pfoa e sei malattie: ipercolesterolemia, colite ulcerosa, malattie della tiroide, cancro ai testicoli, cancro del rene e ipertensione indotta dalla gravidanza. Altri studi hanno riportato che i Pfos e i Pfoa possono influire sul sistema immunitario e che, deprimendone la risposta, possono rendere i vaccini meno efficaci. Sono stati anche collegati a un basso peso alla nascita, a disabilità, ritardo dello sviluppo e morti perinatali negli animali in laboratorio.
Secondo Ian Ross, che si occupa di Pfas per l’azienda d’ingegneria Cdm Smith, era noto almeno dal 1950 che i Pfas sono estremamente persistenti nell’ambiente, ma sono stati ampiamente usati in applicazioni altamente dispersive come le schiume antincendio fin dal 1962.
Le autorità scientifiche hanno appena cominciato a comprendere i Pfos e i Pfoa, decenni dopo che sono stati prodotti per la prima volta, e quindi ci sono poche probabilità che possano tenere il passo dei produttori, i quali possono modificare una molecola esistente, cambiarle nome e metterla sul mercato in molto meno tempo di quanto ne serva per stabilire se deve essere regolamentata o no. La posta in gioco è molto alta e appena si risolve un caso ne salta fuori un altro.
Quali sono le fonti di esposizione?
Si stima che, data la diffusione dei Pfas e l’onnipresenza di alcuni di essi nell’ambiente, quasi chiunque sulla Terra ne abbia una certa quantità nel sangue. Per la maggior parte delle persone le principali fonti d’esposizione sono l’acqua potabile e alimenti come il pesce, le uova, il latte o animali che hanno pascolato in terreni contaminati. L’esposizione diretta può avvenire anche attraverso cosmetici, spray o frammenti provenienti da prodotti di consumo, anche se si sa poco di come funzionano questi percorsi. Ma per subirne gli effetti più gravi bisogna essere esposti per molto tempo a concentrazioni piuttosto elevate. Ecco perché la maggior parte degli scandali sanitari scoppiati negli Stati Uniti e in Europa hanno avuto a che fare con la contaminazione dell’acqua potabile. Esistono molte potenziali fonti d’inquinamento da Pfas. Oltre agli stabilimenti chimici, qualsiasi sito che usi regolarmente schiume antincendio acquose cariche di Pfos, come aeroporti, basi militari e campi d’addestramento dei vigili del fuoco potrebbe in teoria contaminare i terreni, l’aria e l’acqua nelle vicinanze.
Altre possibili fonti sono le discariche, le cartiere, gli impianti di trattamento delle acque reflue, i terreni infiltrati da fanghi di depurazione, le acque di deflusso dalle aree urbane, le fabbriche che impermeabilizzano tessuti e quelle per la finitura e la placcatura dei metalli, per la produzione di tappeti, mobili, vernici, frigoriferi e prodotti per le pulizie.
I Pfas “si comportano come tensioattivi, come saponi”, spiega Crispin Halsall della Lancaster university, nel Regno Unito. “Possono trasferirsi nell’atmosfera, sono così abbondanti che circolano in tutto l’ambiente, e questo è il problema principale”. Aggiungete a questo il campo minato dei prodotti pieni di Pfas, la quantità già presente nell’ambiente e il fatto che ne sono continuamente fabbricati altri, ed è difficile immaginare come si possa evitare almeno un’esposizione a basso livello.
Cosa fanno i Pfas alla fauna selvatica e all’ambiente?
La presenza di Pfas è stata rilevata anche nelle parti più remote della Terra, dall’Artide all’Antartide. Questo inquinamento diffuso potrebbe danneggiare la fauna selvatica. L’università di Cardiff, nel Regno Unito, ha analizzato il fegato di cinquanta lontre in Inghilterra e nel Galles, e ha trovato Pfas in tutti i campioni. Nell’80 per cento degli animali erano presenti dodici diversi tipi di queste sostanze. In mare sono state trovate nelle orche al largo della Norvegia e nei delfini spiaggiati lungo la costa settentrionale dell’Adriatico.
Nelle Fiandre il governo ha consigliato alle persone che vivono vicino a una fabbrica della 3M di smettere di mangiare uova e verdure dei loro orti, e uno studio ha rilevato che in Danimarca le uova biologiche sono contaminate da alti livelli di Pfas. Linda Birnbaum, ex direttrice dell’Istituto nazionale statunitense per le scienze della salute ambientale, ha dichiarato: “Sempre più dati dimostrano che i Pfas sono associati a un’ampia varietà di effetti sulla salute, non solo nelle persone ma anche negli animali. Non dimentichiamoci che anche noi siamo una specie animale. Ci sono centinaia di studi epidemiologici da cui emergono associazioni con una vasta gamma di effetti tra cui tumori, danni al fegato e ai reni, effetti sullo sviluppo, sulla riproduzione e sul diabete di tipo 2. Più si cerca, più se ne trovano”. ◆bt
Italia
Il caso di Spinetta Marengo
◆ La rivista online Radar Magazine, partner italiano del Forever pollution project, si è concentrata sul caso di Spinetta Marengo, vicino ad Alessandria, uno dei principali hotspot individuati dall’inchiesta in Italia. Dal 1905 a Spinetta Marengo ha sede un importante polo chimico, che nel 2002 è stato rilevato dalla multinazionale belga Solvay. Lo stabilimento ha un ruolo centrale nell’economia della zona ma ha causato importanti problemi sanitari e ambientali: nel 2008 la scoperta dell’inquinamento delle falde acquifere ha portato all’apertura di un processo, conclusosi con la condanna dei vertici dell’azienda per disastro ambientale, e alla nascita del comitato civico Stop Solvay. Attualmente l’impianto produce polimeri fluorati, un’attività che richiede l’impiego di Pfas. Un’indagine realizzata dal comitato e dai giornalisti della tv pubblica belga ha rivelato che queste sostanze sono presenti in quantità significative nel sangue degli abitanti della zona. Le autorità sanitarie assicurano che l’acqua potabile di Spinetta Marengo si può bere senza pericolo, ma secondo gli attivisti il problema è l’aria: gli scarichi dell’impianto emettono Pfas nell’atmosfera, che poi ricade nell’area circostante. Per avere un’idea più precisa della gravità del problema servirebbe un monitoraggio molto più vasto rispetto a quelli realizzati finora, conclude Radar, ma le autorità sanitarie locali non dispongono dei mezzi necessari e la situazione è complicata dall’assenza di una normativa nazionale sui limiti alla presenza di Pfas nell’ambiente.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa ne pensi di questo articolo.
Scrivici a: posta@internazionale.it
[ad_2]
Fonte articolo