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La precedenza spetta a questa provincia. Qui, chiede ora la politica, devono nascere per primi i nuovi invasi del Paese. Perché i conti della grande sete non tornano. Quanto serve all’agricoltura cuneese per stare in piedi? «Nuovi studi ci dicono che abbiamo bisogno di ottanta milioni di metri cubi d’acqua per salvare i campi» spiega Giorgio Bergesio. Senatore della Lega ma anche presidente di Acque irrigue cuneesi – 18 consorzi, 53 mila utenti – è il collante tra due mondi: politica e agricoltura. Entrambi il 20 febbraio sono convocati a un tavolo a Torino sulla crisi. Primo punto all’ordine del giorno. Il pregresso, i danni della scorsa estate: a cinque regioni tra cui il Piemonte è stato riconosciuto lo stato di calamità naturale per 200 milioni di euro. Dove stanno? Siamo in Italia, non ancora arrivati.
«Ma ci sono. La Regione – fa sapere Bergesio – ha concluso il censimento delle aziende danneggiate a cui riconoscere i rimborsi, poi i soldi verranno distribuiti. Il problema è risolto. Quel che preoccupa è l’altro». Ed è in arrivo: l’estate presto alle porte. «Come la vedo? Durissima, drammatica», dice Bergesio, e lo capisce chiunque: se la danza della pioggia non funziona, e da due anni va così, non restano che le grandi dighe.
Il Cuneese ne ha di fatto due: Entracque e Pontechianale. Quando va bene rilasciano venti milioni di metri cubi per i campi. Pontechianale, capacità dodici milioni, non può però svasare più del 30% di quel che ha. Motivo: essendo un lago turistico serve acqua in bella vista perché il paesaggio rassicuri.
Nel frattempo come si affrontano i mesi a venire? Presto detto, a mani nude. Per l’acqua solo cure palliative. All’orizzonte gli invasi, medi e grandi, ma non ci sono. C’è però il bando, assegnato, da «due milioni e mezzo di euro con cui il Piemonte ha finanziato i consorzi irrigui per opere di intervento strategico» precisa Bergesio citando poi «il piano di sviluppo rurale sull’innovazione tecnologica». Altri soldi, molti work in progress. Mentre in estate toccherà arrangiarsi. E sarà peggio dell’anno scorso. Perché anno dopo anno si stanno intaccando le ultime riserve: il fondo nero, i pozzi profondi. I primi ad accorgersene gli allevatori: «Peschiamo e restiamo senz’acqua» dicono. Le avvisaglie dei black out. Come leggerlo tecnicamente? «Le falde si stanno abbassando. I contadini attingono alle prime, quelle fino a 30-50 metri di profondità, e non trovano più nulla. Oltre, però e per fortuna c’è ancora la seconda falda, più stratificata, con cui serviamo i rubinetti di casa. Il problema è per quanto» fa sapere Andrea Ponta dell’Acda. Poi, aggiunge, sarà crisi nera. Oggi, dodici febbraio, ci sono una decina di Comuni in emergenza estrema: Brondello, Lisio, Nucetto, Perlo, Pagno, Roccabruna, Viola, Rossana, Melle. Negli ultimi dieci giorni l’Acda ha concluso sei trasporti con autobotte. A Demonte, Cervasca, Melle, Macra. E la prossima settimana è già in calendario un altro Sos: «Venerdì alla vasca Aranzone a Cervasca, poi a Tederei di Moiola».
Intere frazioni da mesi vanno avanti così, a strappi e rabbocchi. Solo che non è più come un tempo: il rubinetto moriva, l’autobotte arrivava, i residenti si armavano di buona volontà e taniche a mettersi in coda. Oggi va diversamente: «I sistemi automatizzati ci consentono di anticipare i tempi abbeverando direttamente le vasche senza che la gente manco se ne accorga». Sa di bene. Ma è pure un male. Perché progettati per l’illusione, lo sforzo concettuale del futuro non ci appartiene. Solamente così si spiega come «l’anno scorso nonostante le ordinanze praticamente nelle case, molti lavavano l’auto, irrigavano, consumavano acqua in gran quantità. Confidiamo che un’estate dopo ci sia più sensibilità». Tutto qui? Intanto si lavora: dei cento micro invasi censiti bisogna capire se si potranno riconvertire a uso potabile, mentre l’Acda tampona, da una zona all’altra della provincia, le carenze d’acqua. «Viviamo alla giornata». Alternative non ce ne sono. Perché? «Abbiamo a che fare con qualcosa di imprevedibile. Questa provincia è una trama infinita di risorgenze, pozzi, condotte. Se una non dà acqua un giorno può tornare ad averne un po’ il giorno dopo». Come a dire che il singolo caso è solo spia dell’insieme. Così a Pasqua si teme che il sistema vada in tilt e si invitano i Comuni a «rischio» turismo a provvedere con vasche di contenimento per raccogliere l’acqua: armarsi di secchiello per svuotare il mare.
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