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L’origine della Carbonara. Il commissario Rebaudengo indaga – Scienza in cucina – Blog

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C’è un mistero irrisolto nella gastronomia italiana: quando è nata esattamente la carbonara? E perché si chiama così? Il commissario Rebaudengo ha già svolto un’indagine preliminare da cui era emerso che le varie ipotesi di una origine molto antica di quel piatto non erano corroborate da solide prove. Così come la suggestione che il nome potesse derivare da un piatto che i carbonai avrebbero preparato durante il soggiorno in Appennino a far carbone di legna.

Il commissario, dopo aver consultato “La cucina romana” di Ada Boni, pubblicato nel 1930, e “Il talismano della felicità” anteguerra, e non avendo trovato alcuna traccia di un piatto chiamato “carbonara” o con gli ingredienti che ora gli attribuiamo (uova, pancetta o guanciale, pecorino e pepe) concludeva che il delitto era successivo.

Prende corpo allora la teoria più affascinante, che spiegherebbe l’assenza di tracce nella tradizione popolare, facendo risalire la carbonara al periodo della liberazione di Roma da parte degli alleati. Così descrive questa ipotesi l’enciclopedia della gastronomia di Marco Guarnaschelli Gotti:

“quando Roma venne liberata, la penuria alimentare era estrema, e una delle poche risorse erano le razioni militari, distribuire dalle truppe alleate; di queste facevano parte uova (in polvere) e bacon (pancetta affumicata), che qualche genio ignoto avrebbe avuto l’idea di mescolare condendo la pasta.”

Stimolato da una recente visita ad Arcangelo Dandini, uno dei moderni “profeti” della carbonara in particolare e della riscoperta e riscrittura della tradizione gastronomica romana in generale, il commissario Rebaudengo ha deciso di fare un supplemento d’indagine, sfruttando i nuovi mezzi tecnologici ora a sua disposizione.

L’ipotesi più antica sul nome “carbonara” che il commissario nella sua indagine è riuscito a trovare risale al 1958, sulla rivista argentina Dinamica social fondata nel 1950 dall’ex segretario del partito nazionale fascista Carlo Scorza, fuggito in Argentina nel 1949. In un articolo che descrive i piatti tipici delle varie regioni d’Italia, troviamo scritto

Per cominciare, mangiare spaghetti a Roma è quasi un rito, come gettare la monetina nella Fontana di Trevi. Delle ventisei maniere di prepararli citeremo quella alla “carbonara”.

Questi spaghetti si chiamano così perché in origine figurava, fra gli ingredienti, in nero delle seppie, tanto che il piatto quando giungeva in tavola “somigliava alla faccia di un carbonaio”. Ora il nero di seppia non si usa più. Si usa invece il tuorlo d’uovo sugli spaghetti fumanti.

È la prima volta che il commissario sente questa ipotesi ed è un po’ perplesso. Scritta per di più in italiano ma su una rivista scritta in Argentina. Che si siano inventati la storia? Manca poi la descrizione degli altri ingredienti. E poi “ventisei modi”? Il commissario diligente prende nota ma non crede molto a questa testimonianza.

È sicuro comunque che nel 1958 la carbonara fosse un piatto riconosciuto. Ricordiamoci però che bastano pochi anni per rendere popolare e noto un piatto. Il commissario si ricorda di un altro caso, ormai risolto, che coinvolgeva il tiramisù, un dolce al cucchiaio che dagli anni ’70, quando fu inventato a Treviso, in pochi anni divenne stranoto non solo in Italia ma anche nel mondo. E anche su quello si sono inventate leggende a posteriori che retrodatavano la sua nascita.

In un supplemento d’indagine cercando tra le guide ai ristoranti il commissario scopre, del 1957, “Eating in Italy: a pocket guide to Italian food and restaurants”. La guida, ad uso e consumo dei turisti americani in Italia, rivela fatti interessanti. La Carbonara è citata più volte, e come ingredienti riporta le uova, il formaggio (non specificato) il bacon (l’ingrediente americano più simile al guanciale o la pancetta),

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ma alternativamente anche il prosciutto. E non si menziona il pepe. Se veniva aggiunto non era sicuramente un ingrediente caratterizzante come oggi. Un po’ come l’aggiunta del sale: non si indica nemmeno.

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A volte nella preparazione è indicato il burro, oltre al guanciale. Curioso vero? Il commissario conosce dei gastrotalebani moderni che strillerebbero per una aggiunta simile, a loro parere non filologica. In realtà questo farebbe pensare che all’epoca la ricetta non fosse ancora “cristallizzata”, come dimostra l’uso anche del prosciutto alternativo al guanciale o alla pancetta

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Era ancora una ricetta molto “fluida”, tanto che vari ristoranti in quel periodo cercavano di offrire quel piatto, non ancora codificato e di fresca origine, personalizzandolo e variandolo un po’.

Questo piatto doveva già essere molto popolare perché due anni prima, nel 1955, fece una comparsa addirittura in Racconti Romani di Alberto Moravia

“Lui prese la carta come se fosse stata una dichiarazione di guerra e la guardò, brutto, un lungo momento, senza decidersi. Poi ordinò per se stesso tutta roba sostanziosa; spaghetti alla carbonara, abbacchio con patate, puntarelle e alici. Lei, invece, roba leggera, gentile. Scrissi le ordinazioni sul taccuino e e mi avviai verso la cucina.”

Il commissario trova la prova esplicita che in quegli anni il piatto era già considerato un piatto della regione addirittura in un rapporto del 1954 dei servizi di informazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri

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Il commissario ricapitola tra sé e sé il caso: prima della seconda guerra mondiale nessuno aveva mai usato il termine “carbonara” e un piatto del genere, con quegli ingredienti, non era noto come piatto tipico. Negli anni ’50 invece lo era anche se gli ingredienti potevano un po’ variare. Rebaudengo trova un indizio curioso: nel 1952 un ristorante di Chicago ha nel menù proprio la carbonara, con taglierini, mezzina (pancetta), uova e parmigiano. Anche qui niente pepe (da Vittles and vice: an extraordinary guide to what’s cooking on Chicago’s Near North Side, Patricia Bronte).

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Come è finita la carbonara nel 1952 a Chicago? Forse un soldato l’ha assaggiata a Roma nell’immediato dopoguerra e l’ha portata in patria? Chissà. Ma l’indagine del nostro commissario non è finita.

La citazione più antica trovata dal commissario, almeno per ora, è nella “Lunga vita di Trilussa”, del 1951, dove si ricorda che il poeta, morto nel 1950, non amava molto gli spaghetti alla carbonara e preferiva la bistecca.

“E’ difficile che il nostro poeta muova all’assalto degli spaghetti “alla carbonara” o “alla carettiera” se non ha di scorta due o tre forchette ottime come la sua. Davanti alla bistecca sembrava meglio disposto a improvvisare l’epigramma (mangiava dal bolognese a p.zza del popolo).”

Il commissario Rebaudengo è ancora in cerca della prova schiacciante, e non demorderà sino alla risoluzione del caso. Ha però all’ultimo momento trovato un indizio molto molto interessante. Un servizio del New York Times del 12 luglio 1954 dal suo corrispondente romano dal titolo “When in Rome you eat magnificent meals in simple restaurants”:

“C’è un’altra ricetta segreta per gli spaghetti a Roma che ha goduto di una certa fama dalla Guerra. La si può trovare alla Trattoria al Moro, nascosta nel vicolo dietro la Galleria Colonna. Gli “Spaghetti al Moro”, in realtà, sono una variante della nuova moda tra i sughi per gli spaghetti- spaghetti alla carbonara. Non sono proprio nuovi ma c’è una specie di moda ora, una salsa la cui peculiarità è il bacon a pezzettini, per non citare i soliti uova, burro e formaggio. Per i migliori spaghetti alla carbonara  o almeno tanto buoni quanto si riesce a trovarli, uno può andare da un altro Alfredo, quello nella meravigliosa vecchia piazza vicino al Vaticano, nella parte antica di Roma, Piazza di Santa Maria in Trastevere.”

Gli “spaghetti al Moro” sono una variante della carbonara con un poco di peperoncino invece del pepe nero. Questo a dimostrare ancora una volta che agli inizi degli anni ’50 la ricetta era ancora fluida, per nulla definitiva. Notate anche qui l’uso del burro, anche se non viene specificato se l’utilizzo fosse solo per soffriggere il bacon oppure veniva  aggiunto crudo alla salsa. E ancora una volta il pepe in quantità non è citato.

L’articolo è molto interessante perché conferma che questo piatto ha iniziato ad avere una certa fama dalla guerra, e che nel 1954 era diventata “una nuova moda”, anche se appunto il piatto non era nuovo, visto che erano ormai passati dieci anni dalla liberazione di Roma da parte degli alleati. E la peculiarità di questo piatto era l’aggiunta del bacon, rispetto ai “soliti” uova, burro e formaggio!

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Il commissario Rebaudengo è ancora in cerca della “pistola fumante”, ma è convinto che con gli indizi raccolti si possa definitivamente chiudere con le ipotesi dei carbonai sull’Appennino, o altre suggestive ma improbabili origini che risalgano a prima della seconda guerra mondiale o che spiegano il nome con l’utilizzo di una robusta spolverata di pepe. Una vera e propria “invenzione della tradizione”, che serve anche ai puristi della tradizione gastronomica per scomunicare variazioni della ricetta rispetto alla presunta versione “originaria”, che come ho dimostrato non esiste proprio. Io panna o burro non li metto nella carbonara, e tantomeno il prosciutto, ma se lo fate perché vi piace e qualche amico gastropurista vi rimprovera per non essere filologici, fategli leggere questo articolo ;)

A presto

Dario Bressanini



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